Quest’anno ho trascorso le vacanze in Iran, l’antica Persia. Gli occhi si sono riempiti di bellezza e d’arte. Tra i momenti che rimarranno indelebili nella memoria, tuttavia, uno particolare è legato non alle pietre, ai fregi, o ai giardini di Persia, ma a una degustazione. Si tratta del giorno in cui ho assaggiato un gelato allo zafferano nella Piazza Maydan-e-Shan, di Isfahan. Chiamata ‘La misura de mondo” sorprende per la grandiosità e la grazia inaspettatamente “europea”. Una meraviglia architettonica alla parti di Place Vendome, Plaza Mayor a Madrid o Piazza San Marco: c’e’ simmetria ma non troppo. La bellezza risiede nel contrasto tra lo spazio rigoroso e la libera diversità degli edifici” (Robert Byron, “La via per l’Oxiana”, Edizioni Adelphi).
In piazza Maydan-e-Shan sono arrivato sotto il cielo ceruleo dell’imbrunire, le luci a illuminare la cupola azzurra della Moschea dello Shah mentre le montagne disadorne d’intorno riverberavano d’oro. Camminando sotto grandiosi portici ha colpito la mia attenzione un nutrito gruppo di persone davanti a una bottega. Facevano la fila per comprare un gelato di un giallo intenso servito su cialda. L’ho fatto anch’io: mi si è sciolto sul palato un gusto di perfetta sintesi tra il dolce dello zucchero e l’amaro dello zafferano cui i pistacchi regalavano una nota croccante di salato. Tocco sublime e a mala pena percettibile – ho scoperto poi – un po’ di acqua di rose (ingrediente irrinunciabile nei dolci persiani).
Il dosato equilibrio del Bastani – così si chiama il gelato allo zafferano persiano – riflettere il carattere degli Iraniani: sono orgogliosi ma accoglienti, realisti e sognatori. Come il loro più grande sovrano, Ciro, che sulla sua tomba ci invita alla pietas:
O uomo chiunque tu sia o da ovunque venga – perché so che verrai – io sono Ciro, ho costruito per i Persiani questo grande impero non invidiare questo pugno di terra che mi ricopre il corpo.
Quanto sono legati i persiani al gelato? Dopotutto un gelato si può assaggiare ovunque nel mondo… E non si trattava poi di un’invenzione italiana? In realtà il gelato moderno deve molto a questo antico Impero: sembra che il suo progenitore, il sorbetto, sia nato proprio in Persia. Lo stesso termine sorbetto deriverebbe dal Farsi, Sherbeth. È documentato che nell’antichità e ininterrottamente per tutto il medioevo i Persiani consumavano in grande quantità ghiaccio arricchito da frutta e succhi di frutta. Già nel 1226 la ricetta del sorbetto appare in un ricettario compilato da Muhammad al Baghdadi. Pur essendo un Paese chiuso tra alte montagne e un arido altipiano, nel sottosuolo l’Iran è ricco d’acqua e le sue città sono punteggiate di antiche ghiacciaie in mattoni dalle forme futuristiche.
È con la conquista della Sicilia da parte degli Arabi che il sorbetto arriva in Italia. Il suo consumo deve passare per la Firenze rinascimentale per diventare gelato, con l’aggiunta di latte, uova e miele. Stravaganza dovuta all’eclettico Bernardo Bontalenti, come Leonardo a Milano, architetto e insieme organizzatore di feste e banchetti reali per sbarcare il lunario e accattivarsi le simpatie di potenti mecenati; nel 1570 il lombardo Bartolomeo Scappi in qualità di cuoco “segreto” di Papa Pio V in un libro di cucina che porta il suo nome formalizza la prima ricetta “occidentale” del sorbetto. L’immancabile Caterina de’ Medici (che oggigiorno sarebbe una perfetta ambasciatrice della cucina italiana) diventata regina di Francia fa conoscere il sorbetto ai nobili francesi e proprio a Parigi nel 1686 un altro italiano, di Palermo, Procopio Cutò utilizzando una macchina creata dal geniale nonno inizia a vendere sorbetti nel caffè aperto di fronte all’Opera. Intanto il sorbetto era diventato molto popolare a Napoli e in Sicilia, uscendo dai ristretti circoli della nobiltà e dell’alta borghesia anche grazie alle innovazioni tecnologiche che consentivano di produrre e conservare ghiaccio senza bisogno di trasportarlo a costi elevati. Non a caso il cuoco Antonio Latini nel descrivere la ricetta del sorbetto partenopeo attribuisce (erroneamente) a Napoli la paternità del dolce.
All’italiano-americano Italo Marchioni sembra si debba l’invenzione (o almeno il brevetto) del cono gelato, avvenuta negli Stati Uniti nel 1903.
La storia per sommi capi dovrebbe essere questa. In realtà molte storie e miti si celano dietro quella, millenaria, del gelato. E sulla paternità definitiva di questuo dolce non tutti concordano. A me piace pensare che si tratti di una di quelle “invenzioni” globali, cui hanno concorso insieme le tradizioni di molti popoli, il genio di molti singoli, la reciproca fertilizzazione tra Oriente e Occidente. Il prezioso regalo di una globalizzazione ante litteram con alle spalle millenni di storia.
Gli antichi ricettari che parlano del sorbetto e del gelato in cui mi sono imbattuto scrivendo questo post.
“Il libro di cucina” di Muhammad al Bagdadi (1226); “Opera di M. Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V. Divisa in sei libri” di Bartolomeo Scappi (1570); “Lo Scalco alla moderna” di Antonio Latini (1694); “De’ sorbetti e de’ bagni freddi saggi medico-fisici,” di Filippo Baldini (1775).