Prima di partire per le Isole Galapagos ho letto da qualche parte che da un luogo così  selvaggio e ancestrale si torna sempre un po’ cambiati. Pensavo fosse un modo di dire e invece è proprio così. Ecco 5 cose di cui ho preso consapevolezza durante il mio viaggio. Nessuna pretesa di scientificità, solo riflessioni personalissime, nate dall’osservazione, dal rimestarsi delle emozioni e dall’aiuto di Jairo, la guida naturalista che ho avuto la fortuna di avere al mio fianco. Per conoscere in modo serio e approfondito questo eccezionale laboratorio di biodiversità consiglio una visita anche solo virtuale alla Charles Darwin Research Station di Puerto Ayora (https://www.darwinfoundation.org/en/). Un’esperienza che non dimenticherete, come è capitato a me.

Siamo solo mammiferi e neanche troppo “centrali”

Alle Galapagos una delle prime cose che ti ripetono le guide e gli abitanti del posto è di mantenere una distanza di almeno 2 metri dagli animali. Ciò significa stare sempre allerta perché si incontrano in ogni dove: nei loro habitat naturali – il mare, le spiagge, i boschi – ma anche negli ambienti urbanizzati (è comunissimo incappare in grossi leoni marini che dormono sotto gli alberi o sulle panchine, in uccelli d’ogni risma che cercano cibo zampettando sui moli, o in iguana che si scaldano sui marciapiedi). Tale distanza è necessaria perché qui gli animali non se la danno a gambe ma si fanno tranquillamente avvicinare. Non hanno – ancora – imparato a percepirci come predatori.

Loro vivono su queste isole dal circa un milione di anni, noi da poco più di cento.

L’uomo ha sempre un impatto sull’ambiente

Mammiferi marginali gli uomini, eppure molto pericolosi. Persino in un arcipelago dove appunto gli animali vengono “tenuti a distanza” (non vengono cacciati e neppure aiutati se sono in difficoltà), la nostra sola presenza interferisce profondamente con la loro esistenza, modificandone le abitudini. Al mercato del pesce di Puerto Ayora, principale centro abitato dell’isola di Santa Cruz, ogni mattina alla fila di persone in attesa di acquistare del pesce se ne affianca un’altra, costituita da pellicani bruni, leoni marini, fregate a qualche airone. Attendono che venga allungata loro qualche frattaglia su cui si avventano cozzando rumorosamente in una replica un po’ grottesca della “lotta per la sopravvivenza”. E così, anziché procacciarsi il cibo pescandolo in mare molti di questi uccelli si limitino ad accattonare.

Se noi umani dovessimo sparire – ipotesi non certo remota – probabilmente molti degli uccelli delle Galapagos morirebbero di fame.

La plastica è una minaccia anche in paradiso

Le Galapagos sono una riserva protetta dal lontano 1959, sperduta nel mare pacifico a centinaia di miglia da altre terre abitate, dove si attuano serie politiche di riduzione della nostra impronta carbonica. Tutto questo tuttavia non le mette al riparo dall’inquinamento. Basta una mareggiata perché alla schiuma del plancton che si accumula sulla battigia si mescolino rifiuti in plastica. Tappi e bottiglie in prevalenza. Il mio amico Fabio che vive lì da oltre trent’anni durante la Pandemia si è dedicato a ripulire il tratto di costa di fronte a casa sua. Solo così ha raccolto oltre 4000 bottiglie di plastica. Me le ha mostrate e lasciata una per non dimenticare: “guarda sono tutte cinesi”, ha commentato con quel suo fare franco e battagliero.

La geografia non fa sconti, eppure ciò non dovrebbe deresponsabilizzare noi occidentali. Avete presente il “Butterfly effect”?

Camminiamo in un cimitero di biodiversità

Questo arcipelago è il luogo perfetto per studiare la varianza di specie. Dopotutto è dopo il viaggio attraverso queste isole che Charles Darwin ha iniziato a progettare il celeberrimo “Origine della specie”. Sono oltre 32 le specie endogene di mammiferi, 550 le specie di pesci, 29 quelle di rettili; si contano 12 gruppi di uccelli marini, 21 specie di limicoli e 49 specie di uccelli terrestri.

Basta soffermarsi qualche istante a osservare qualsiasi lembo di spiaggia, uno scoglio appuntito o un anfratto ombroso che d’improvviso ti sorprende la vita vibrante che li abita. In questi luoghi ho preso consapevolezza del fatto che alle nostre latitudini camminiamo sopra un lugubre cimitero di specie animali. Morte mi appaiono adesso le nostre spiagge, desertificati in nostri mari e i nostri cieli, plastificati i boschi. Quanta biodiversità abbiamo cancellato!

Più che la paura fece l’amore

Anche piante comuni e diffuse sul tutto il globo qui spesso sviluppano e trasmettono forme proprie e particolarissime. È il caso dei cactus che nelle isole dell’arcipelago dove hanno predatori per difendersi mantengono gli aculei e crescono in altezza in forma di veri e propri alberi; nelle isole dove non li hanno invece al posto delle spine presentano peli. Eppure ciò che più mi ha sorpreso è la varietà di strategie sviluppate da piante e animali per facilitare la riproduzione (potrebbero addirittura essere di più di quelle messe in campo per difendersi! Qualcuno le ha mai contate?). Il capo bruno del pellicano ad esempio si scurisce nel periodo della riproduzione; il petto rosso fuoco della Fregata si gonfia come fosse un enorme palloncino… (se al pavone dobbiamo l’espressione “pavoneggiarsi” alla fregata probabilmente il “gonfiare il petto. Chissà!).

eb – 2023

 

2 thoughts on “5 cose che ho imparato alle Galapagos”

  1. Bravo Enrico. Ottimo reportage. Mi ha interessato molto e… chissà … forse un giretto alle Galapagos potrei anche programmarlo … in futuro !!!
    Un affettuoso saluto.
    Nembo

    1. Grazie Nembo. Certo che devi andare. Metti in conto che è piuttosto disagevole ma verrai ampliamente ricompensato da uno spettacolo unico al mondo. Un abbraccio
      Enrico

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