A pochi centimetri dai suoi piedi il terreno scivolava tutto dritto fino al mare che aveva cominciato a ruggire. Non avrebbe saputo dire da quanto si trovasse lì, accovacciata dietro la siepe al limitare del giardino. Se c’era una cosa cui non badava più era lo scorrere del tempo. Non le sarebbe servito granché sapere che ora fosse, neppure che giorno della settimana. Nelle sue giornate non c’era alcun impegno che valesse la pena ricordare. E se anche ci fosse stato, c’era sicuramente qualcuno che l’avrebbe potuto sbrigare al suo posto. Eppure era infreddolita, le gambe erano tutte intorpidite e iniziava a sentire la stanchezza. Se poi pensava che la sua trovata non aveva sortito alcun effetto le montava un nervoso…

Si rizzò in piedi, alle sue spalle il vento saliva su dalla scogliera. Prese a darsi una sistematina alla gonna che per certo si era tutta sgualcita sul fondo. Non fece in tempo ad accennare un passo in direzione della casa che udì un fruscio da qualche parte alla sua destra.

Si raccolse nuovamente su se stessa per farsi più piccola che potesse. Forse finalmente qualcuno aveva iniziato a cercarla. Tese l’orecchio, eccitata: passi pesanti, un poco trascinati. Doveva essere dalla parte del nocciolo, l’unico l’albero del giardino a perdere le foglie. D’un tratto quel rumore scomparve, soverchiato dal fragore delle onde dabbasso. Che fosse solo la sua immaginazione?

Dannazione… dove erano finiti tutti? Che ne era di Flores? Quando era sgattaiolata fuori dalla villa per iniziare quel gioco infantile a nascondino era nella sala affaccendata a preparare la tavola per la cena. A quell’ora non vedendola avrebbe dovuto cercarla! E dove s’era cacciato Tonio? Per quanto non si riuscisse mai a sapere che facesse fuori casa tutto il giorno – con molta probabilità correva dietro a qualche altra donna – rientrava sempre per l’ora di cena.

Allungò il collo oltre la siepe. In lontananza la villa era tutta accesa: dietro le vetrate della sala da pranzo le sembrò di distinguerne i profili di almeno quattro o cinque persone. Che ci facevano in casa sua? Ebbe l’istinto di palesarsi nel salone per chiedere ragione di tutti quegli ospiti. Dopotutto era lei la padrona! Ciò che la indispettiva di più era il pensiero che da troppo tempo quelli che la circondavano si comportassero come se lei non contasse nulla: non chiedevano il permesso di assentarsi, decidevano di estirpare le rose antiche – le sue rose! –  e piantarci dei gerani (proprio così, banalissimi gerani!); addirittura invitavano sconosciuti a casa, che se capitava poi la sventura di incrociarli neppure sentivano il bisogno di presentarsi. Che deprecabile mancanza di educazione!

Qualche volta ci aveva provato farsi avanti: chi è lei? Che ci fa qui? aveva chiesto con quel piglio che da giovane la aveva resa una donna temuta e rispettata da tutti. Ma si vede che erano altri tempi, perché al suo domandare quegli sconosciuti le rispondevano a mezza bocca, scocciati addirittura: Sono un amico di Tonio, m’ha invitata Tonio, chieda a Tonio… una volta una donna tutta stretta in un abitino volgare da quattro soldi le aveva replicato che l’aveva invitata Flores! Poi voltandole le spalle aveva ripreso a ingurgitare delle tartine al salmone che qualcuno aveva diligentemente preparato senza chiederle niente. E da quando le donne di servizio invitavano gli amici a casa dei loro padroni?

Di nuovo i passi. Ebbe un fremito di paura e di piacere. Un luccichio dorato baluginò nella penombra. Pensò al costoso orologio d’oro che Tonio aveva chiesto per il suo ultimo compleanno. Avrebbe voluto andare in città con lui per comprarlo, così si sarebbe un poco distratta, avrebbe rotto la routine, la nuotata mattutina – che fosse estate o inverno poco le importava perché era così rigenerante – la colazione in veranda, un libro da leggere, il pranzo, un sonnellino, un giro in giardino a controllare le piante, il tè e poi la cena, qualche bicchierino e a dormire. E invece Tonio le aveva detto che preferiva andare da solo, ricordandole che non era più abituata a stare in mezzo alla gente, che il traffico, il vociare, il via vai nervoso non facevano per lei. E così si era preso la sua carta di credito e se n’era andato da solo.

«Tonio, sei tu?», disse con un filo di voce.

«Tony, ti prego non è divertente…» provò con quel diminutivo all’americana che a lui che negli Stati Uniti non ci aveva mai messo piede faceva così piacere. Attese una risposta, ma non arrivò.

Era stufa di quel gioco: «Tonio mi ero nascosta ma visto che non mi viene a cercare nessuno, facciamola finita qui…» Le sue parole si spensero nel vuoto. Poi finalmente successe qualcosa: a pochi metri nel buio si accese la luce di una fiamma. Chiunque fosse aveva deciso di accendersi una sigaretta. Ebbe un fremito. A quanto sapeva, Tonio non fumava.

Spinse qualche passo nella direzione del punto di brace che ardeva facendo attenzione a non mettere il piede in fallo e rovinare giù dalla scogliera: era ora di mettere fine a quella farsa che si trattasse di Tonio o di chiunque altro l’avrebbe sentita questa volta, come si permettevano di mettere paura a lei!

La luce si spense di colpo. Il buio divenne ancora più buio. Fu un attimo. Sentì solo «crepa!» detto con rabbia ancestrale. Poi il vuoto sotto i piedi. Non tentò di aggrapparsi a un ramo o a una radice di quelle che punteggiavano il crinale. Si abbandonò alla sensazione del vento fresco che l’accarezzava e le appiccicava la veste al corpo mentre precipitava.

***

Nota: la contessa Francesca Vacca Agusta è stata una delle donne più affascinanti, ricche e invidiate dei suoi tempi. Nel 2001 morì tragicamente a 58 anni precipitando in mare dalla scogliera della sua villa a Portofino. Il corpo venne ritrovato due settimane dopo sulle spiagge della Costa Azzurra trasportato dalle correnti. Non è mai stato chiarito se si è trattato di suicidio, di un tragico incidente o di un assassinio. Secondo le indiscrezioni di stampa, Francesca era solito nascondersi per ore in luoghi appartati del suo giardino. Questo breve racconto prova a immaginare gli ultimi istanti della sua vita.

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