Questo mese mi sono imbattuto casualmente in due articoli che si occupano in maniera diversa del medesimo tema: quello del sangue e del suo valore simbolico. Si tratta di un editoriale sulla figura del vampiro dal libro di Bram Stoker fino alla saga di Twilight apparso su La Lettura del Corriere della Sera, e del pezzo pubblicato sul New Yorker “Storia del Sangue”. Una lettura critica del libro dell’inglese Rose George, Nine Pints (qui trovate una recensione di The Guardian). La tesi centrale di quest’ultimo è che nonostante la conoscenza scientifica sul sangue abbia fatto enormi passi avanti rimaniamo prigionieri del mito che si è  formato nei secoli intorno al nostro fluido biologico.  Il sangue è  sinonimo di vita, di identità, racchiude l’essenza di ciò che siamo.

Il mito del sangue si è  consolidato nella storia attraverso la letteratura, la religione e la politica. Nel Levitico il sangue è  definito dal termine “nefesh” che significa vita ma anche anima. Medusa, ce lo siamo dimenticati, non possedeva solo una chioma capace di impietrire, ma un corpo con una doppia circolazione di sangue: quello della parte destra dava la vita quello a sinistra la morte. Dracula rappresenta la minaccia oscura per definizione, l’Altro, lo straniero, il non morto che estraendo il nostro sangue ci toglie la vita, si appropria di ciò che siamo.

Il sangue ha valore emozionale e insieme figurativo. Anche nella nostra vita quotidiana. Ad esempio quando dobbiamo descrivere uno stato d’animo facciamo spesso riferimento al sangue: ribolle il sangue nelle vene quando siamo arrabbiati, raggela quando abbiamo paura… dobbiamo avere il sangue freddo se intendiamo affrontare una difficoltà con coraggio e determinazione.

Durante l’Inquisizione il sangue inizia a indicare la razza.  L’abominio simbolico e morale si è perpetuato nei momenti più oscuri della storia: per giustificare la schiavitù negli Stati Uniti e nel mito della razza dei Nazisti. Nel mondo contemporaneo il sangue ha coagulato il senso di appartenenza a un gruppo o a una nazione, escludendo tutti gli altri.  Non sarà un caso che oggi con la rinascita dei nazionalismi e dei populismi si sia riaffacciata – ad esempio in tema di cittadinanza – la contrapposizione tra ius soli e ius sanguinis. E che aumentando il fenomeno migratorio, nei libri e nelle produzioni televisive in Occidente sia tornato prepotentemente di moda la figura di Dracula.

Caricare il sangue di significati meta biologici è una sciocchezza. Più grave è basare decisioni politiche su un simile ciarpame. A riguardo due piccole considerazioni, tra le tante. Non troppo serie.

In Giappone tra i giovani sembra sia diffusa la moda di descrivere le caratteristiche individuali ricorrendo ai gruppi sanguigni: gli appartenenti al gruppo A sarebbero tipi tranquilli e affidabili, addirittura ottimi guidatori; gli appartenenti al tipo B invece creativi, ma inquieti…. e così discorrendo. Una sorta di oroscopo. Molti di noi per regalarsi un sorriso o un momento di leggerezza leggono l’oroscopo, ma quanti si affiderebbero davvero a questo strumento per prendere decisioni importanti?

Potete dire di essere più vicini alla vostra cugina di secondo grado, con cui condividete il “medesimo sangue” piuttosto che al vostro migliore amico, a vostra moglie o marito?

Concentriamoci su ciò che ci rende davvero quello che siamo, non il cuore, ma il cervello, le nostre idee. Queste sì che ci definiscono e ci rendono essere unici, individui appunto. Allo stesso tempo ci accomunano agli altri esseri pensanti. Soprattutto non ci dividono in gruppi pronti a armarsi fino ai denti per emarginare chi non ne fa parte.

Considerando il ruolo centrale che ha giocato la letteratura nel perpetuare il mito del sangue, sarebbe una gran bella rivoluzione se sulla scena letteraria irrompesse un eroe o un antiaereo che ci succhia via le idee. Anche un mostro va bene. Anzi meglio. E che sia terribilmente spaventoso.

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