Sul finire dell’estate ho trascorso qualche giorno in campagna. Vicino alla cascina dove ho soggiornato c’è un grande albero di giuggiole. Non avendole mai assaggiate mi ha preso la curiosità di farlo. Delusione: si tratta di frutti dal sapore acidulo, acre. Niente affatto dolci, decisamente poco gustosi. Più simili a una mela o una susina selvatiche che a una succulenta mora o a un fico. Ma allora – mi chiedo – perché si usa dire andare in brodo di giuggiole per indicare uno stato di contentezza talmente intenso da sfiorare addirittura l’estasi? Tale è la loro pochezza di gusto che uno proprio non se lo immagina un simile effetto su chi assaggia le giuggiole.

Quale storia nasconde il famoso detto? La risposta non è così semplice, tantomeno certa.

La giuggiola scambiata per succiola

L’espressione andare in brodo di giuggiole potrebbe essere il risultato di un alterazione del detto andare in broda di succiole. Con succiole in Toscana si intendono le castagne lessate con la buccia. L’uso di questa espressione è sancito già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca nel 1612. La confusione tra giuggiole e succiole potrebbe essere stata favorita dall’assonanza dei termini e dal comune modo di consumare i due frutti una volta bolliti (anche le giuggiole venivano cotte in acqua bollente per preparare decotti, confetture e addirittura uno sciroppo per la tosse): succiole infatti viene “dal succhiare che si fa, mangiandole” (Il Morgante di Luigi Pulci, 1483).

L’antico liquore 

L’arrivo degli alberi di giuggiole dall’Oriente risale a tempi antichissimi. Sembra che Fenici, Greci e Romani ne apprezzassero molto i frutti: Erodoto paragona per dolcezza le giuggiole ai datteri – qui mi permetto di dissentire; Omero si riferirebbe a questi frutti nel noto episodio dell’Odissea sui Lotofagi: il Loto sarebbe una specie di giuggiolo selvatico e lo stordimento dell’incantesimo dei Lotofagi sarebbe provocato da una sbronza di liquore prodotto con le giuggiole.

E qui veniamo al punto: Brodo di Giuggiole è il nome di un liquore che viene prodotto dai Gonzaga sulle rive del Lago di Garda almeno dal Rinascimento.  Il successo e la fama del Brodo di Giuggiole furono tali che in breve l’espressione assunse carattere proverbiale, a indicare – appunto – qualcosa di talmente buono da far perdere la testa.

La produzione del liquore Brodo Di Giuggiole è  ancora in vita in alcune zone del Nord. Nel Padovano a Arquà Petrarca ne viene prodotto un tipo di grande qualità. Provare per credere! In questa città le “modeste” giuggiole si prendono la loro rivincita, protagoniste addirittura di un Festival

Per quanto riguarda l’origine del detto andare in brodo di giuggiole personalmente preferisco la spiegazione gastronomica. Dopotutto quanta vita viene raccontata attraverso il cibo? Che sia per la sua concretezza, la quotidianità o l’intrinseca potenza espressiva poco importa. Il cibo è  metafora, detto, veicolo di passioni, misura del benessere e del potere, vizio o peccato…

Così sulla strada di rientro dalle vacanze rimuginavo tra me e me passando in rassegna i modi di dire che afferiscono all’universo del cibo: scambiar pan per focaccia, non piangere sul latte versato, fischi per fiaschi, se non è  zuppa è pan bagnato… materia per tante altre storie.

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