Seconda puntata della mia breve tassonomia dei tipi da ristorante: il saccente.

La prima la trovate qui.


In Italia siamo  tutti esperti costituzionalisti in periodo di elezioni o referendum, allenatori durante i Mondiali di calcio. Esperti enogastronomici tutto l’anno.

Il sedicente esperto si affaccia in sala con l’aria un po’ schifata. Anche se trovasse perfetto il ristorante non deve assolutamente darlo a vedere, pena – ritiene – la perdita di credibilità. Gli vado incontro e spero, riconoscendolo, che sia lui nella compagnia ad aver scelto di mangiare qui. Diversamente sarà tutto tremendamente difficile.

Si siede e guarda subito la carta, alla ricerca di quello che non c’è . O di quello che c’è  di “sbagliato”. Gli procura un piacere sadico, lo rassicura e insieme lo ringalluzzisce. Ai suoi ospiti racconta di quella volta che ha mangiato in questo o quel ristorante stellato, di quando ha assaggiato questo o quel piatto. E tende a parlarne male: sopravvalutato, niente di imprendibile, ho mangiato meglio altrove… Il più delle volte non è stato in nessuno dei ristoranti di cui si sforza di snocciolare ogni dettaglio. Ha letto forse qualcosa da qualche parte oppure riporta esperienze di altri.

Arriva il momento dell’ordine. Vorrei essere altrove. Mi stampo un garbato sorriso di circostanza e mi faccio sotto.

Senta – precisa – io prenderei il vostro risotto alla milanese.  Con la liquirizia. Storce leggermente la bocca. Mi sembra interessante… Io fossi al suo posto mi preoccuperei piuttosto che fosse buono! Scusi, sa io sono un po’ difficile. Per la mantecata che burro usate?

Lodigiano, lo sfido. Attendo: mi chiederà di che zona esattamente. Da quale caseificio proviene.

Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e Cremona. (Carlo Emilio Gadda: Risotto Patrio in Verso la Certosa, Ricciardi, 1960)

Il tempo passa. Almeno chiedimi se è di tipo centrifugato, di affioramento, o di siero. Se lo abbiamo chiarificato…! Lo temevo. Tace. Se gli avessi risposto con una marca, sì che avrebbe commentato, suggerendomene una, a suo dire, migliore.

Riempio i suoi silenzi studiandolo meglio. Solo a quel punto noto che è grasso, obeso addirittura. Dovevo cogliere immediatamente questo particolare: difficile che un obeso sia un vero intenditore di cibo: non sa mangiar bene, si abbuffa piuttosto. Non sa scegliere e tantomeno moderarsi, che oltre ad essere una forma di eleganza è anche un segno di cultura. Culinaria.

Le risposte che fornisci al saccente sono irrilevanti. Questo tipo umano non possiede vera conoscenza perché non coltiva la curiosità. Il suo è puro esibizionismo. Non legge, o legge con superficialità, non chiede modestamente a chi è del mestiere, di qualunque mestiere si tratti. Niente di tutto questo.

Mi viene in mente Pasolini che non perdeva occasione di ricordarci quanto un’educazione mediocre sia peggio dell’ignoranza. Sottrae solo naturalezza e spontaneità, riempiendola di pregiudizi. Anche a tavola si tratta un po’ di questo: l’esperto il più della volte ha frequentato un paio di corsi di cucina a pagamento e – nel caso dei più evoluti – un corso da sommelier. Oppure ha seguito tutte le stagioni di Masterchef. Tutto qui. Poco, troppo poco.

Lascio il saccente ai suoi deliri che non sono più affar mio ma degli sfortunati commensali. Oppure no, torno al tavolo e gli porto un buon libro. Se ci fosse ancora, gli presenterei mia nonna che, quasi analfabeta, ha speso la vita intera in cucina a preparare piatti per gli ospiti della sua osteria.

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