Amo Starbucks. Per me è stato per molto tempo sinonimo di libertà: quella di sedermi a un tavolo, ordinare un caffè da 5 dollari, navigare gratuitamente sul web, tutto senza sentirmi pressato a lasciare il posto ad un nuovo cliente. In uno Starbucks ho controllato la posta, prenotato aerei per le vacanze e scritto diverse pagine del mio libro, La Sottomissione. Starbucks è tante cose in una sola, Caffè, ritrovo e antesignano degli spazi di co-working.

Quando ho saputo che avrebbe finalmente aperto anche a Milano, ho pensato fosse un’occasione unica per trasformare questo amore in un lavoro. Ho sottoposto la mia candidatura. Non un invio come tutti gli altri: al posto della motivation letter richiesta ho allegato al curriculum un brevissimo racconto ambientato da Starbucks.

Il mio azzardo non ha sortito alcun effetto. Rischi della non conformità.

Ora che (sembrerebbe) la tanto attesa apertura del primo punto vendita italiano è  in dirittura d’arrivo, ho pensato di ripescare il breve e atipico racconto. Suonava più o meno così:

Bello a tredici anni avere un’amica come Alessia. Si raccontano tutto. E infatti lei l’ha invitata da Starbucks per parlarle. Dev’essere qualcosa di molto importante. Appena uscite dalla metro, inizia a piovere così forte che il pavé al Cordusio sembra suonare la marcia di Radetsky. Nell’androne una strana luce rosata illumina una coppia stretta a baciarsi. Lui indossa la stessa Hilfiger di Tommaso quella volta. Martina e Alessia si precipitano dentro. Le accoglie il rassicurante profumo della tostatura. Ordinano divertite due Frapuccini: lei con panna e caramello, l’amica senza. Povera! Dev’essere    di nuovo – a dieta. E in effetti sembra che tutte quelle ore di nuoto non siano servite a granché.

Sprofondate nelle poltroncine verdi, Alessia sputa fuori il rospo: Gli ho scritto…ma lui non mi ha mandato neppure una faccina.

Davvero? Magari non l’ha visto…, la rincuora senza troppa convinzione.

Dici che gli piaccio?

Pensa a una risposta qualunque. Ma è soprappensiero. Al banco il ragazzo che fa le chiamate la guarda dall’istante in cui ha messo piede nel negozio. Carlotta, Beatrice, Sarah!  enuncia quello, solenne come un banditore da Sotheby’s. Ma lei sa che continua a sussurrare Martina, Martina, Martina… si sfiora i capelli. Appena la panna tiepida e il caramello caldo si consumano sul palato lasciando spazio al caffè ghiacciato avverte il brivido di quando ad agosto con la compagnia si tuffa dalla scogliera di Furore, giù nel mare che schiumeggia contro gli scogli. La prossima stagione è  certa si lancerà mano nella mano con l’esotico barista.

L’amica parla senza tregua. È  diventata noiosa. Il cellulare nel jeans è un continuo vibrare di notifiche. Che sfiga, non può controllare! Non sarebbe giusto. Alessia la prenderebbe sul personale.

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